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Separazione

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La separazione personale dei coniugi è istituto giuridico regolato dal codice civile (artt. 150 e ss.) in base al quale gli stessi vengono autorizzati a vivere separatamente dal presidente del Tribunale ed a regolare le questioni più importanti attinenti la vita coniugale (provvedimenti riguardanti la prole, mantenimento, alimenti, assegnazione della casa coniugale ecc.) (tre link attivi)
Nell’ottica del legislatore la separazione avrebbe la funzione di consentire ai coniugi di valutare l’opportunità di riconciliarsi. Ecco perché in Italia non è possibile accedere direttamente al divorzio ma è necessario attendere un determinato periodo di tempo che in passato era di tre anni, oggi – in presenza di determinati presupposti - di dodici o di sei mesi (c.d. divorzio breve – link attivo)
Oltre ad essere autorizzati a vivere separatamente, effetto rilevante della separazione è lo scioglimento della comunione legale dei beni per coloro che abbiano scelto tale regime patrimoniale. Non comporta, invece, lo scioglimento del matrimonio (effetto derivante solo dal divorzio), con la conseguenza che i coniugi sono ancora tali. In questa fase, dunque, è scorretto parlare di “ex moglie” o “ex marito”, ed entrambi sono sempre tenuti al rispetto dei doveri previsti dall’art. 143 c.c., ossia all’assistenza morale e materiale ed alla collaborazione nell’interesse della famiglia. Come detto, viene meno il dovere di coabitazione. In questa fase, inoltre, sussiste ancora l’obbligo di fedeltà, anche se viene interpretato in senso meno rigoroso e stringente (sent.?), a patto che i comportamenti di un coniuge non ledano l’onorabilità ed il decoro personale dell’altro. 
La separazione si introduce mediante ricorso al Tribunale competente, che è quello ove i coniugi avevano la comune residenza (c.d. residenza familiare), ovvero quello di residenza del c.d. convenuto (ossia quello tra i coniugi che non ha presentato il suddetto ricorso).
Può essere consensuale, quando vi è l’accordo dei coniugi su tutti gli elementi rilevanti ai fini della separazione (provvedimenti riguardanti la prole, provvedimenti economici, assegnazione della casa coniugale ecc. ecc.) o giudiziale quando, all’opposto, i coniugi non riescono a trovare soluzione ai propri conflitti. Evidentemente la differenza tra le due procedure ha riflessi immediati in tema di costi di giudizio e durata dello stesso, nonché in tema di decorrenza dei termini per poter chiedere il divorzio.
Al termine del procedimento di separazione, dunque, il Tribunale competente adotterà i provvedimenti volti a disciplinare i rapporti tra i coniugi e validi fino al divorzio. Detti provvedimenti sono modificabili solo in caso di sopravvenienze (ad esempio variazione delle condizioni economiche di uno dei coniugi o sopravvenute esigenze prima non contemplabili).
Ottenuto il provvedimento conclusivo del giudizio di separazione inizia a decorrere il termine richiesto dalla legge per il divorzio. Detta decorrenza, tuttavia, retroagisce al momento della comparsa dei coniugi dinnanzi al presidente del Tribunale. Questa norma è di particolare importanza soprattutto per le separazioni giudiziali che possono durare anni. Sulla base della norma richiamata, dunque, se ad esempio un coniuge presenta ricorso per separazione nell’anno 2016, e lo stesso si conclude ad esempio nel 2019, al termine del giudizio potrà immediatamente procedere con il divorzio, essendo abbondantemente decorso il termine di legge (nell’esempio, tre anni).
A questo punto è importante precisare che la separazione di fatto – ossia quando i coniugi non vivono più insieme eppure non hanno avviato il giudizio di separazione presso il Tribunale – è giuridicamente irrilevante. Conseguenza pratica è che i coniugi sono tenuti al pieno ed integrale rispetto di tutti gli obblighi derivanti dal matrimonio e, chiaramente, non decorrerà il termine utile per il divorzio.

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